
Se negli ultimi decenni gli stereotipi che hanno da sempre marchiato nell’immaginario nazionale la Sardegna e i suoi abitanti come terra dedita al banditismo e alla pastorizia si sono dissolti, complici i flussi turistici (o fors’anche qualche vincitore di talent show di troppo), è altrettanto vero che quelli che continuano a perdurare nel territorio sono, involontariamente o meno, alimentati dagli stessi sardi.
Il perchè dell’essere e rimanere “pocos, locos y mal unidos” o “centu concas, centu berrittas” è ancora oggi una fonte di continuo dibattito interno che crea ciclicamente appartenenza o sconforto, a seconda della prospettiva o del livello di consapevolezza col quale si osserva il fenomeno. Continuiamo a chiederci se sia possibile uscire dal torpore, soprattutto dal punto di vista imprenditoriale, per valorizzare come si dovrebbero le nostre risorse culturali e territoriali, e dischiuderci al mondo una volta per tutte, superando i nostri complessi e la nostra ansia da prestazione.
Un modo per cominciare potrebbe essere quello di studiare le anomalie, i cosiddetti bug di sistema, ovvero esempi che, pur ben radicati nell’identità del territorio, riescono a domare la componente ansiogena, solitamente legata alla logica del profitto e alla smania del tutto e subito, arrivando a creare dei modelli esportabili.
Un esempio lampante è LIBEROS, la rete sociale, nata come risposta alla crisi del mondo della piccola editoria, che fa delle relazioni e del suo codice etico i suoi punti di forza. Ed è chiaro, fin dalle premesse, che Liberos nasca tra l’altro dall’esigenza di colmare un vuoto, in un sistema che percepisce il libro unicamente come oggetto di mercato che obbedisce alle regole dell’economia, e non un mezzo attraverso il quale si tutelano le storie che meritano di essere tramandate. Il grande merito di LIBEROS è di avere creato una piattaforma che sfruttando le opportunità della rete virtuale riesce a creare dei legami che si manifestano nella vita reale, e che testimonia che, quando alla base vi è un’idea forte e ben sviluppata, le possibilità di fare un buco nell’acqua si limitano alla cattiva sorte e non ad una carenza progettuale.
Il successo di questa iniziativa, culminato con la vincita del premio CheFare, mi ha fatto riflettere sui motivi per cui molte imprese si arenano ancor prima di muovere i primi passi.
La rete è ormai un oceano da contemplare che fornisce un’esaustiva visione d’insieme; la sensazione che ho avuto è che si agisca molto d’istinto, con poca cognizione di causa, spesso trascurando lo scenario nel quale si opera, cavalcando le idee che vanno per la maggiore e puntando ad un mercato omologato e già saturo di proposte.
Forse ciò che manca a chi si affaccia oggi nel mondo dell’imprenditoria è proprio l’andare oltre la piena identificazione verso ciò che si offre, vittima di una sorta di “portfolio dunque sono”, non considerando che il più delle volte è l’idea alla base del progetto a decretarne il successo e la longevità.
La domanda che ne consegue è: esistono e quali sono gli elementi imprescindibili alla buona riuscita di un’impresa?
Roberto Meloni